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Conosciamo il direttivo: Jamil Amirian

  • APIS
  • 08/09/2021
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Chi sei e di che cosa ti occupi? 

Sono Jamil Amirian e mi occupo di sviluppare e talvolta gestire progetti formativi e sociali. Provengo dal lavoro operativo sul campo, ma ho sempre cercato di mantenere anche un’attenzione al sistema sociale, di politica sociale e di politica in senso ampio, che costituiscono il contesto degli interventi.

Cosa ti ha portato in APIS e qual è il tuo contributo? 

L’interesse comune di tutti i soci verso la funzione della progettazione sociale. Credo che il mio contributo possa essere di valorizzare questa funzione, che spesso non è compresa, identificata e soprattutto riconosciuta nel valore che porta; si pensa che chi opera direttamente sui problemi e sui bisogni sia una risorsa preziosa (pensiamo agli educatori, ma anche adesso ai medici e agli infermieri), mentre chi si occupa di costruire le condizioni dei servizi lo sia meno, o si dà quasi per scontato che vi siano queste condizioni e i progetti si realizzino.
In questo momento, faccio anche parte del gruppo che anima e coordina un pensiero tra operatori (che abbiamo chiamato “cantieri”), in cui ci stiamo assumendo il compito di dare forma a analisi e proposte a partire dalla nostra esperienza di progettisti.

Quale aspetto della progettazione sociale ti pare il più interessante oggi? 

Mi sembra interessante il rapporto tra interventi e programmi di finanziamento, ovvero quella funzione in cui la progettazione sociale avvicina i destinatari ai decisori, aiutando entrambi a capire l’importanza, e i possibili percorsi, di un impegno comune.
Occorre continuare a costruire e tutelare l’infrastruttura che regge le decisioni, ai vari livelli, il dialogo e la valorizzazione delle persone coinvolte, evitando derive formalistiche, burocratiche e finte, che inducono in tutti un senso di impotenza e sfiducia.

Quali sfide vedi all’orizzonte?

Credo che in questa fase storica, le persone, soprattutto in Italia, sentano fortemente problematica la possibilità di partecipare ad iniziative comuni per realizzare dei cambiamenti. La sfida principale della progettazione sociale si gioca qui: sarà uno strumento di emancipazione, che facilita il coinvolgimento, o sarà un’ulteriore forma di potere e di esclusione?
Ogni azione ed ogni pratica professionale può essere direzionata a dare potere alle persone, o a passivizzarle. Pensiamo alla cosiddetta “analisi dei fabbisogni”: possiamo intenderla come semplice rilevazione dei problemi di un certo target (che in questo modo è quasi oggettivato), o come occasione per ascoltare, coinvolgere, innovare le iniziative insieme a chi vive una situazione di difficoltà. Ovviamente, quanto più progetteremo con attenzione ai soli dati ed agli indicatori, quanto meno sarà facile essere attenti alle persone, nella loro individualità e nei loro vissuti. 

Ci diresti 3 cose per cui la Progettazione Sociale è importante? 

Per aiutare chi vuole migliorare la società ad essere efficace, per dare senso e efficacia ai finanziamenti pubblici, per promuovere il ruolo e la credibilità dell’impegno sociale e solidaristico.

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