Dai fatti di Parigi in poi (ma era già successo dopo l’attentato alla sede di Charlie Hebdo) più di qualche intellettuale ha preso il vezzo di accostare terrorismo e crisi dei valori ad Occidente. Lo ha fatto di recente Giuliano Ferrara su Il Foglio, cui ha risposto Michele Serra nella rubrica quotidiana L’Amaca. Ma lo aveva già fatto il filosofo cattolico Fabrice Hadjadj dalle colonne de Le Figaro il 5 giugno 2015. In rete poi è tutto un sobbollire di commenti inveleniti, ben più sguaiati e trinariciuti dei propri modelli, che schiumano rabbia bipartisan per l’efferatezza del carnefice e per l’inanità della vittima.
Lo schema di pensiero lo riassumo così: l’occidente e la sua vacuità di valori e ideali, l’occidente e il suo fiacco decadentismo postilluministico ha finito per produrre, col terrorismo islamico, niente meno che il suo altro. Daesh sarebbe l’ombra del nostro way of life, molle e nichilista. Insomma: il fondamentalismo islamico e il suo tenebroso potere di seduzione degli animi, storditi come siamo dai fumi dell’alcool e delle droghe e dagli afrori del sesso più sfrenato, un po’ ce lo meritiamo. E quindi è necessario promuovere in Europa un agguerrito Kulturkampf, che opponga al cupio dissolvi islamico un integrismo “terzo” tra il disfacimento morale dei nostri tempi molli e sfibrati e la furia sterminatrice nutrita di idoli religiosi di questi imbecilli.
Ecco, sarà che a ogni evocazione del Kulturkampf finisco per sentire in sottofondo il corrusco rumore della corsa alle armi (quelle vere), questa lettura dei fatti proprio non mi suona.
Primo: l’idea non ha anzitutto conforto nei numeri. Un tale smottamento dei principi che reggono una società dovrebbe produrre il reclutamento di intere masse. Come negli anni 20 e 30 in Europa, e poi ancora negli anni 70. Qui invece fortunatamente parliamo, almeno in casa nostra, di pochi individui arruolati nelle fila del terrorismo. Il problema è che si tratta di pericolosi spostati sociopatici, come tali presenti in qualunque società. Il fatto di essere in pochi non significa che non siano in grado di fare un notevole casino.
Secondo: la rivolta contro la ragione apollinea di guasti nel novecento ne ha prodotti a bizzeffe. Più o meno con gli argomenti invocati da queste cassandre dell’occaso del mondo e dai loro emulatori. Giova ricordare che gli irrazionalismi di destra e sinistra (ma più di destra che di sinistra) hanno prodotto qui in Europa le più immani carneficine? Sono più di cento anni che, a fasi alterne, riparte la lamentazione contro la ragione borghese e il moderatismo e si invoca la rivoluzione degli spiriti. Permettetemi di ricordare, solo in Italia, Marinetti ed Ezra Pound. Heidegger, che nazista non era, ha finito per ritenere il nazismo una passabile contromisura alla razionalità strumentale e all’oblio dell’essere, qualunque diavolo di cosa questo significhi. La sua intervista a Der Spiegel andrebbe meditata e mandata a memoria, ogni volta che ci vellica l’idea che coltivare nostalgie passatiste sia una valida alternativa alla crisi dei valori.
Terzo: se una radice del terrorismo va trovata nelle nostre società, non è in un’astratta crisi spirituale dell’Occidente che bisogna rovistare. Suggerirei invece di guardare, con un pizzico di pragmatismo in più e con meno furore ideologico, ai meccanismi di esclusione che hanno prodotto le banlieu, le periferie degradate e segregate delle nostre città, le mille sacche di marginalità che danno la misura immediata di quanto sia incompiuto anche il nostro modello di integrazione. Vogliamo parlare di quanto spazio di penetrazione potrebbe avere anche qui da noi il mito fondamentalista, se si radicasse nella parte islamica del popolo Rom?
Quarto: vi dirò, a me gli ideali della convivenza democratica ancora scaldano il cuore, e il mito della società aperta desta addirittura slanci eroici. Con le parole di Tolkien, tanto caro al pensiero neocrociato: c’è del buono in questo mondo che abbiamo costruito, e vale la pena difenderlo e lottare per esso. Forse dovremmo coltivare l’idea, e tramandarla, che le libertà civili, morali e religiose, la cultura della tolleranza e dei diritti fondamentali, cioè il meglio che l’Occidente può consegnare al mondo, non coincidono propriamente con Youporn, sebbene come effetto collaterale finiscano per tollerarlo. È già grave che l’intellighenzia islamica non se ne accorga, ma che ce ne scordiamo noi confondendo tra loro i due fenomeni è quasi imperdonabile.
Insomma, abbiamo tanti guai e difetti, chi lo nega, ma il fondamentalismo islamico non è conseguenza di nessuno di questi. Detto altrimenti: il fondamentalismo islamico con la nostra crisi dei valori credo non c’entri una beata mazza. Non è un nostro problema, è un problema dell’Islam. Solo un errore prospettico, e un po’ di egocentrismo europeo (tic, questo sì, piuttosto radicato alle nostre latitudini), può portarci a iscriverne le radici nel perimetro della nostra identità culturale. A essere molto riflessivi e autocritici si potrebbe al limite dare un’occhiata agli squilibri economici globali e locali, ovunque in crescita, come concausa e collettore di tutte le ideologie revansciste e guerrafondaie, capaci di attrarre disperati facendo baluginare loro il mito di un riscatto storico che salti a piè pari i passi intermedi della modernizzazione. È quanto mi pare fa il papa. Purché non si finisca col dire che è tutta colpa delle multinazionali.
Intendiamoci: non sto sostenendo affatto che in Occidente non sia in atto uno sfaldamento delle culture e dei valori che le sorreggono. Davvero le nostre società, e soprattutto le generazioni più giovani, si stanno avvitando in un materialismo sempre più triviale e cieco. Discuto però che tutto questo abbia a che fare con l’escalation del terrorismo, discuto che la risposta sia una nuova Kulturkampf un po’ teocon e un po’ no (visto che il papa, nel frattempo, non mi pare stia proprio seguendo le orme di Urbano II) e non piuttosto un metodico lavoro di intervento sociale, quasi specializzato (senz’altro ragionato) nelle nostre periferie urbane, e soprattutto obietto la conseguenza di questo assioma, che la soluzione al delirio antimoderno, ma così rassicurante ed esaltante, del fondamentalismo sia tentare di assomigliargli il più possibile. Tentiamo invece di distinguercene in nome di quanto ci è proprio, e di insegnare soprattutto ai nostri giovani (e si, invecchio…) la virtù della dissimiglianza.
(Antonio Finazzi Agrò)