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Etica della progettazione sociale: deontologia del progettista vs. etica della progettazione

  • APIS
  • 04/05/2021
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Che rapporto c’è tra etica e progettazione sociale? 

La deontologia ha a che fare con l’esercizio della professione, riguarda il progettista in quanto professionista che eroga una prestazione a fronte di un compenso. Contiene regole di condotta certamente basate su principi etici, ma circoscritte al rapporto con il committente (cfr. il nostro Codice di Condotta).

L’etica della progettazione riguarda invece il lavoro del progettista, la sua attività e l’impatto generato. La progettazione è sociale in quanto è partecipata. In caso contrario è altro: è un sistema per l’erogazione di prestazioni che può avere una sua utilità ma, se viene deciso e gestito in modo monocratico, rinuncia all’attivazione delle comunità di riferimento.

La progettazione sociale deve quindi dare valore a prospettive diverse. Quando parliamo di “produrre valore”, assumiamo un sistema di valori dato? Il sistema della comunità in cui il progetto si realizza? Oppure ci sono valori che dobbiamo considerare assoluti?

Questo è veramente un punto importante e per alcuni aspetti innovativo della progettazione sociale contemporanea.

I principi etici sono espressione di convinzioni e scelte morali fatte dagli individui, sulla base di tradizioni culturali e/o convinzioni religiose che a loro volta risentono di e sono strettamente collegate all’organizzazione sociale ed economica in cui le persone vivono. L’etica non è un’entità in sé generata e definita, ma esiste in quanto le persone la generano nei propri pensieri, nelle proprie opinioni e valutazioni. Le persone che condividono convinzioni e principi etici sono “compatrioti” morali, formano una comunità legata da un orientamento molto forte. Gruppi con principi etici diversi sono percepiti come “estranei” morali. Per chi fonda i principi etici su un credo religioso le convinzioni di base sono dettate da una verità rivelata, che chiede solo di essere applicata ai casi concreti. Per chi invece non ha principi religiosi si pone il problema di stabilire una base da cui derivare i principi, che a loro volta daranno origine a codici di condotta e prescrizioni. Questo è stato fatto, ad es, con il Belmont Report: nel 1978 e con riferimento ai problemi della sperimentazione clinica, una commissione USA definisce i principi fondamentali che devono ispirare le regole di comportamento in questo settore. Sono i cosiddetti “Georgetown principles”, ripresi dalla Convenzione di Oviedo nel 1997:

  • rispetto per le persone (autonomia e dignità),
  • beneficienza (o almeno non maleficenza),
  • giustizia.

In questo modo un gruppo di persone autorevoli ha fondato un’etica di matrice non religiosa (nel senso che non fa riferimento a una verità rivelata e indiscutibile). Tutte le persone che condividono questi principi possono a lungo discutere sulle conseguenze, su come vanno applicati, sui casi singoli e su molto altro ancora, ma costituiscono una comunità.

Ma globalizzazione, società multietniche, riconoscimento di diritti a fasce sociali un tempo apertamente discriminate mettono una accanto all’altra (e a volte in competizione) comunità che fanno riferimento a principi diversi. Autonomia personale e diritto all’autodeterminazione sono, ad es, principi fondamentali in un contesto liberale di stampo anglosassone. Ma nella tradizione del nostro Paese la libertà individuale non è sempre stata percepita tanto importante quanto, ad es., la sicurezza personale.

Così intesa l’etica della progettazione sociale è un obiettivo importante ma un traguardo irraggiungibile, un lavoro che tende all’infinito alla ricerca di punti in comune che, in una società pluralista, possano costituire un utile e soprattutto significativo quadro di riferimento per una proficua collaborazione.

La condivisione e l’accettazione degli orientamenti culturali coinvolti nella realizzazione di un progetto è certamente un processo impegnativo ma importante per non vanificare l’intervento e minarne la sostenibilità.

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