Un’altra edizione del Corso Base si è chiusa. Non c’è stata occasione formativa in questi anni, dal 2009 a oggi, che non abbia lasciato in noi tutti la gratificante sensazione di aver fatto qualcosa di utile, di marginalmente utile, per il nostro settore, e quindi indirettamente per tutti coloro a cui si indirizzano gli effetti del nostro lavoro di progettisti sociali.
Ma questa aula è stata a suo modo unica. Per la prima volta abbiamo avuto la rappresentazione plastica della dimensione nazionale che la nostra comunità professionale, con tenacia sprovvedutezza e coraggio, è andata assumendo. Professionisti da tutte le regioni, dal sud dal nord e dal centro, concentrati in una bella sala 30×30, perfino un tantino accademica, e in un contesto residenziale che, per chi ha risieduto presso l’ostello, aggiungeva quel tanto di effetto estraniante all’esperienza formativa, come un campo scuola. E poi un raffinato blend di esperienze e professionalità che neppure se avessimo voluto avremmo saputo comporre con tanto sapiente equilibrio: assistenti sociali, avvocate, giornaliste, psicologhe, pedagogisti, economisti, educatori ed educatrici. Persone e professionisti di diversa tempra e militanza, chi con le scarpe consunte da un tratto di strada già lungo, chi in procinto di mettersi in camino. Chi immerso sino alle midolla nel proprio contesto organizzativo, chi in cerca di una prima casa, uno spazio umano in cui esercitarsi e scambiare beni professionali.
Che resterà ragazzi di questi giorni? Ovvero: che precipiterà nella vostra storia professionale e umana di ciò che siamo andati agitando in questi giorni? Più che una domanda questo è un topos letterario, su cui si incaglia ogni docente ben intenzionato a conclusione di un ciclo formativo. Tornando a casa tra me e me venerdì, del tutto inconsultamente, ripetevo un versetto dell’inno all’amore di Paolo di Tarso:
Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà (1Cor 13, 8-10).
Nessuno degli strumenti e delle nozioni che vi abbiamo consegnato, con tutta l’acribia di cui eravamo capaci, ha carattere ultimativo. Siamo consapevoli del carattere di espediente di ogni griglia logica trasmessa, da imprimere su quel vasto e indeterminato campo che sono le comunità umane. E in ogni caso tutto questo scaltrito strumentario chiederà di essere trascritto e appropriato da ciascuno di voi, nelle pazienti e umilissime pratiche artigianali dei giorni che vi attendono. Ma le relazioni, quelle sì, resteranno. La percezione di uno studio comune, di uno sforzo comune, di un cambiamento da imprimere alle nostre società radicalmente sproporzionato agli sforzi individuali, e dunque tale da esigere alleanze partendo proprio dalle solidarietà professionali, che possono saldarsi solo nel crogiuolo di una comune passione. Dunque mediante uno sforzo meta-logico e pre-metodologico, etico ed emozionale insieme, contagioso come è contagiosa la generosità e la sensatezza che pretendiamo dal nostro lavoro.
Questo ragazzi, socie e soci, è ciò che intendiamo per comunità professionale. Buon lavoro a tutti e grazie di essere con noi!