Riassunto della storia
Iniziamo con una premessa, che ormai facciamo con una certa consuetudine: gran parte della nostra esperienza di operatori, delle nostre capacità e della nostra quotidiana attività non potrà mai essere esplicitato e condiviso e resterà un nostro patrimonio personale, privato.
Ma allo stesso tempo, vi sono molte competenze e pratiche che possono invece essere codificate.
Il quesito che torniamo a porre è: ha senso farlo?
Definendo le competenze dei progettisti, non si rischia di appesantire e imbrigliare qualcosa che è direttamente determinato dalla capacità di ogni singolo operatore? Non si rischia di limitare l’iniziativa, la creatività e la tipica capacità di adattamento dei progettisti?
L’impressione, su questo preciso aspetto, è esattamente opposta, ovvero che solo se si cerca di identificare e promuovere le competenze più rilevanti messe in atto dai progettisti sociali, si contribuisce realmente a consolidarne la funzione, permettendo la crescita delle organizzazioni e il miglioramento dei servizi. Questo, certo, comporta che il percorso di definizione avvenga in modo concertato, aperto a revisioni, costantemente validato nelle pratiche, e non divenga un vincolo formale…
APIS è da ormai alcuni anni impegnata a confrontarsi sulle capacità che sono realmente rilevanti nel ruolo di progettista sociale; partendo da un’analisi delle esperienze dei soci, in particolare quelle più eterogenee e pluriennali, sono state progressivamente identificate le competenze che risultano essenziali e maggiormente trasversali nella funzione.
È risultato che gran parte delle competenze che la realtà professionale consegna non sono quelle tradizionalmente affiancate alla figura del progettista sociale.
I progettisti sociali che da anni lavorano cercando di migliorare i propri contesti, hanno dovuto sviluppare capacità per affrontare problemi del tutto peculiari e difficilmente riconducibili a specializzazioni disciplinari o riducibili alle strumentazioni esistenti.
Questo ci permette di dichiarare una delle finalità di questo percorso: dare evidenza al lavoro ancora semisconosciuto, ma, a nostro avviso, enormemente prezioso che molti colleghi portano avanti, alla loro capacità di gestire situazioni notevolmente complesse e spesso non decifrate dalle mappature concettuali più comuni.
In una società che vede la crisi di organismi intermedi, che vede crescere la sfiducia nelle istituzioni e in generale nella convivenza, in cui prevale il ritirarsi nel privato e il disimpegno, la funzione di promozione di legami e di iniziative collettive è sempre più attuale e vitale.
Ed eccoci arrivati ad un’altra “scoperta”, che poi è una conferma: il progettista sociale ormai è una professione distinta, non è sovrapponibile a nessuna delle altre esistenti, né tantomeno alla loro somma. Possiede molte delle competenze di altre figure, ne ha molte di specifiche e soprattutto ha la capacità di integrare in modo inedito modelli operativi, strumenti, campi disciplinari anche molto lontani.
In questa presa di coscienza APIS ha, come nella propria mission, attivato dialoghi e sinergie, incontrando opportunità e compagni di viaggio.
Qui dichiariamo un’altra scelta, che riteniamo propria dei principi della progettazione sociale, e che ci ha condotto nell’attività di costruzione di questo percorso: all’interno delle nostre finalità cerchiamo di coinvolgere ogni risorsa potenzialmente sintonica, anche se appartiene a sistemi organizzativi molto diversi tra loro, anzi, facendo della capacità di promuovere queste temporanee alleanze una delle nostre specifiche più importanti.
Per questo abbiamo coinvolto anche UNI, l’Istituto Unico della Normazione, un sistema tradizionalmente distante dalle nostre organizzazioni, provando a percorrere il tortuoso cammino per la definizione di una norma ai sensi della L. 4/2013, coinvolgendo in questo i nostri principali stakeholders, ovvero Ministero del Lavoro e Forum Terzo Settore, per costituire un primo gruppo di confronto, destinato ad allargarsi. UNI è una delle possibili risorse, ma ovviamente non è né l’unica, né quella che esaurisce le potenzialità di un tema che è ancora tutto da sviluppare.
La prima tappa: la proposta APIS per UNI
L’opportunità per questo articolo deriva da una prima, importante, tappa nel progetto di normazione.
UNI ha concordato con il gruppo di lavoro istituito dalla Commissione Servizi, con la Decisione 25, il progetto operativo che è costituito da una serie di fasi volte a dare visibilità e trasparenza, oltre che a condividere potere decisionale, rispetto alla definizione della norma.
Tra i primi step di questo percorso c’era la definizione di una prima versione, costruita secondo lo schema tassonomico utilizzato dall’Istituto.
Questo schema prevede un’organizzazione gerarchica piuttosto complessa, che provo a riassumere, rimandando ad ulteriori approfondimenti nei prossimi tempi.
Lo schema scompone la figura professionale in una versione di base e in versioni con specializzazioni.
Sia la versione base, sia le varie specializzazioni sono a loro volta articolate in “processi”, ovvero in complessi di attività distinti, che compongono la figura in oggetto.
Per ogni processo sono poi indicate le “attività” che lo costituiscono e le “competenze” che lo rendono possibile. Ogni singola competenza è ulteriormente analizzata per “abilità”, che rappresentano capacità più elementari che consentono l’esercizio di quella competenza, e “conoscenze” teoriche corrispondenti.
Applicare questo schema alla figura del progettista sociale, che internamente ad APIS avevamo già articolato dettagliatamente, non è stato semplice, anche se si è trattato di un lavoro molto utile.
Nei giorni scorsi abbiamo completato la proposta APIS costruita sullo schema UNI, che sarà discussa ed eventualmente validata o migliorata nel percorso con il gruppo di lavoro.
In questa sede non entro nella presentazione dettagliata della proposta, che sarà oggetto di un progetto specifico che ha proprio come obiettivo la condivisione del lavoro svolto con i soci.
Mi limito a qualche nota ed ad alcune considerazioni generali.
Lo schema APIS propone una figura base e quattro indirizzi specialistici: 1. Progettazione di interventi e servizi socio-assistenziali e socio-sanitari, 2. Progettazione formativa, 3. Progettazione europea, 4. Progettazione di interventi di cooperazione internazionale allo sviluppo.
La figura di base è comunque un professionista dotato di capacità molto elevate e complesse, corrispondenti a 7 processi e 20 competenze; gli indirizzi sono caratterizzati da un numero variabile di competenze aggiuntive, che non superano le 9 per ogni indirizzo.
Per quanto sia stato messo impegno nel tentativo di semplificare e far corrispondere a processi operativi elementari ogni competenza, di fatto si tratta sempre di competenze notevolmente articolate, e che è risultato difficile rendere in poche, univoche, parole.
Si tratta quindi di un lavoro ancora iniziale, che speriamo dia modo di avviare processi di miglioramento e di ulteriore confronto, su un tema che è certamente difficile.
È evidente che la nostra è una proposta, possibile, tra tante; non ambisce in alcun modo a primati o statuti speciali per il fatto di essere noi un’associazione di progettisti sociali. Ce ne possono essere di migliori e di più utili, quindi non ambisce nemmeno ad essere condivisa, e questo è, a nostro avviso, un punto molto importante.
La nostra ambizione riguarda invece il metodo e gli assunti che lo fondano, che abbiamo più volte ribadito e che, questi sì, speriamo siano condivisi anche da soggetti non appartenenti alla nostra associazione.
Un assunto è che la progettazione sociale è principalmente una funzione che si è sviluppata dal basso a sostegno dell’attivazione delle comunità che si impegnano a migliorare la propria realtà.
I progettisti sociali sono le persone che, in questi processi, hanno scelto il ruolo di mettere a sistema e utilizzare strumenti, competenze, teorie, pratiche e che negli anni le hanno consolidate in modo innovativo, cercando di identificare quelli più efficaci.
Per questo ci auspichiamo che venga condiviso il nostro approccio, che intende fornire a chi lavora sul campo, piuttosto che chi ha altri ruoli, il potere di identificare e validare quali siano le competenze che ritiene più utili alla funzione e ai propri contesti organizzativi.
Gli altri soggetti sono chiamati al confronto all’interno di questo processo che vuole partire dalla realtà esperienziale, per svilupparne un’analisi e una sistematizzazione teorica.
Ogni altra operazione corporativa o direttiva, che stabilisca dall’alto o da lontano quali siano le competenze del progettista sociale ci sembra rischiosa ed autoreferenziale e, per questo, contraria all’idea di progettazione sociale in cui ci riconosciamo.